Vi ricordate il decreto sicurezza e i suoi effetti?
Eh sì, siamo in un clima difficile, ma anche ricco di fantasia: vi ricordate di quando è stata lasciata una testa di maiale davanti all’alloggio di alcuni richiedenti asilo? Un macabro rimando hollywoodiano del quale si poteva fare molto volentieri a meno.
E il Global compact for immigration, rammentate? Le ormai proverbiali sparate sovraniste dense di demagogia sono diventate routine, e io non me ne accorgo più: non ci capisco più nulla. Sono confuso, bombardato, sommerso da informazioni deviate o parziali. Mi rimane la vaga sensazione di essere in un clima di tensione.
Poi, però, c’è Refugees Welcome Italia, e mi vien da tirare un respiro di sollievo. Aprendo il sito di questa associazione nata nel 2015, che a sua volta rientra nella rete Refugees Welcome International, il livello di fiducia nell’umanità sale sopra lo zero. Si parla di una filosofia dell’accoglienza basata sull’attenzione e l’impegno per la creazione di legami:
«crediamo che l’ospitalità in famiglia sia il modo migliore per facilitare l’inclusione sociale»
E in effetti, pensandoci bene, c’è legame più forte di quello che si crea sotto lo stesso tetto? Bellissimo! Cosa c’è di più controcorrente di qualcuno che apre la porta in un mondo che costruisce muri?
Ma sapete – poi – qual è la notizia più bella? Refugees Welcome, da settembre, esiste anche a Siena!
Eleonora – una dei due volontari che ho incontrato – precisa con orgoglio che la sezione di Siena ha delle particolarità: l’iniziativa è nata spontaneamente e solo in seguito il gruppo di volontari e/o ospitanti ha deciso di «istituzionalizzare il tutto».
Appoggiarsi alla rete nazionale, infatti, ha permesso innanzitutto di semplificare le trafile burocratiche e poi di allargarsi, di farsi conoscere. Mi sembra di capire – però – che la positività maggiore si possa riscontrare nella possibilità di fare formazione:
«l’accoglienza e l’ospitalità sono cose delicate, che seguono una metodologia seria e strutturata»
Attualmente a Siena ci sono 4 convivenze attive e 3 esperienze terminate perché il “progetto di autonomia” del rifugiato è stato raggiunto.
Ma come si fa?
Tutto parte dall’iscrizione al sito, poi si fa della formazione; in seguito viene effettuato il matching che – sottolinea Eleonora – è scientifico: vengono creati accurati profili di accogliente e accolto al fine di farli combaciare al meglio. Al momento di cominciare la convivenza, addirittura, viene fatta una sorta di contratto tra ospitato e ospitante: serve per le piccole cose, regole quotidiane per capirsi meglio e convivere al meglio. Questo permette una rapida ed efficace risoluzione dei possibili conflitti, che vengono affrontati nel migliore dei modi.
Nicola, che è uno studente fuorisede, si lascia andare in una bella riflessione, accostando la sua esperienza con coinquilini ad una possibile esperienza di ospitalità nei confronti di un rifugiato. I problemi con chi ti vive a fianco esisteranno sempre, e sempre si potranno superare, a prescindere dalla provenienza. Un coinquilino di Molfetta, di Udine o Africano rimane un essere umano. E se poi questi esseri umani sono persone con un po’ di cervello e attenzione verso gli altri il “coinquilinaggio” può essere un’esperienza stupenda, che porta alla creazione di amicizie profonde: un nuovo nucleo familiare “surrogato” (in senso positivo, eh!), aperto, dinamico.
Credo che questo concetto di nucleo familiare aperto sia la chiave di volta. Si potrebbe pensare che cercare di “diffondere il verbo” sia un tentativo utopico di cambiamento di mentalità, ma non è esattamente così: agire e educare alla messa in pratica di una nuova (e bella!) cultura dell’accoglienza è relativamente semplice e quotidiano.
E che può fare uno studente squattrinato?
Non sempre si hanno i requisiti per offrire ospitalità (semplicemente, non tutti hanno una stanza in più in casa), ma si può diventare volontari, e contribuire comunque al cambiamento.
Io mi sono appena iscritto, non sto scherzando!
Zino