Con i valloni deserti, con le gole tenebrose, con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre cose che nessuno potrà dire mai.
Dino Buzzati, Bàrnabo delle montagne
Le parole di Dino Buzzati risvegliano le tante creature fantastiche che popolano il territorio compreso tra la Valle del Piave e le cime dolomitiche. L’acqua, i boschi e le rocce sono rifugio di impensabili abitanti, ora più restii, ora più disponibili a rivelarsi agli occhi umani, come il Mazzaròl. Vestito di rosso, con il suo cappello a punta ed un bastone nodoso da cui prende il nome, questo strano folletto sembra godere nel prendersi gioco degli abitanti delle valli dolomitiche. Si dice in giro, però, che i pastori bellunesi, spiandolo di nascosto (pena la perdita della memoria!) abbiano imparato proprio da lui l’arte casearia.
A volte, gli stessi elementi naturali – come alcune montagne o laghi incantati – altro non sono che il risultato di una magica metamorfosi. Mi riferisco, per esempio, alla tragica storia in cui incappò re Sorapìs, tramutatosi in montagna a causa di una figlia, Misurina, troppo viziata. Quante lacrime versò: neppure la dura roccia poté impedire che due rigagnoli d’acqua scendessero da quegli occhi ormai privi di vita. Così dovette formarsi il Lago di Misurina, nel quale il Monte Sorapìs si specchia, nella speranza di incontrare lo sguardo di una figlia ormai perduta per sempre.

Il Lago di Misurina
E in più, noi bellunesi abbiamo le anguane (ninfe delle acque, già, ma con piedi di capra!), l’Om Salvarech (bizzarra creatura mezza uomo, mezza albero), i santi e i miracoli, la mitologia greca e latina, i diavoli e i pentiti, i misteri d’amore, senza dimenticare draghi e orchi.
Camminando tra sentieri tortuosi, mentre il passo è attutito dal terreno boschivo e la mente si abbandona ad insoliti rumori, è facile incappare in incontri piuttosto inusuali.
Perché anche voi, come me, siate pronti a riconoscere con quale folletto o improbabile essere abbiate a che fare, eccovi un piccolo manuale pronto all’uso che vi metta in guardia dalle apparizioni più spaventose.
Le Anguane

El bus dele Anguane
Pur essendo creature femminili apparentemente belle ed attraenti, una volta irretita la loro vittima, rivelano un aspetto spaventoso: a causa di una natura ibrida, i loro piedi sono in tutto e per tutto simili alle zampe di una capra. Amano soprattutto le sorgenti sotterranee, nascoste in anfratti e gole profonde, dove il rumore dell’acqua e del vento sembra fondersi in un unico inquietante sussurro. Così le anguane attirano le loro vittime: dopo averle ipnotizzate, le lasciano precipitare nelle voragini della terra, per poi divorarle. Insomma, sembra proprio di descrivere le sirene di omerica memoria: sirene dolomitiche, però!
Nei pressi di Perarolo di Cadore, un tempo importante porto fluviale, si trova nel bosco una stretta cavità scavata nella roccia, chiamata dalla popolazione locale el Bus dele Anguane (l’antro delle Anguane), dove si racconta che abitassero queste creature. Quando la gente passava davanti alla cavità gridava: “Hin Hin sento odor de cristianìn! Han han sento odor de cristian!”. Con un misto di sacro e profano, si cercava di esorcizzare quest’inquietante presenza. Dal Bus dele Anguane fuoriesce un’aria gelida e in effettiva la cavità era utilizzata come ghiacciaia. La neve vi veniva ammassata in inverno e utilizzata durante l’estate.
L’Om Salvàrech
Il villaggio minerario di Valle Imperina, nel Comune di Rivamonte Agordino, è un insediamento di grande interesse storico, legato allo sfruttamento delle miniere di pirite cuprifera, oggi nel territorio del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Ogni anno, il 25 aprile, si celebrava il rito dell’Uomo Selvatico (Om Salvàrech): un uomo completamente rivestito di licopodio, scendeva dal Monte Armarolo e faceva irruzione nel paese, ballando con le donne. Questo rito primaverile faceva riferimento a una leggenda, secondo la quale l’Om Salvàrech, che viveva isolato nei boschi del Monte Armarolo, scese in paese durante una notte piovosa chiedendo ospitalità in una casa. In cambio, insegnò ai presenti a filtrare il latte con il licopodio, che in dialetto si chiama “erba da col” o “colìn”. Insomma, sembra che alcune creature, per quanto spaventose, sappiano premiare chi non mostri paura e sappia loro donare un po’ di attenzioni.
Gli spiriti della Val Scura
Un nome così evocativo non può che condurre ad un’esperienza di mistero e paura. Nei pressi di Cesiomaggiore, un piccolo comune lungo la strada per Feltre, si apre la Val Scura, dalla folta vegetazione e pareti rocciose incombenti, dove spesso si formano nuvole scure cariche di pioggia.
Si racconta che nell’ultima casa della frazione di Campel vivesse una vedova con i suoi tre figli. Tutte le sere nei pressi della sua casa si sentivano rumori così forti e paurosi che i bambini non riuscivano ad addormentarsi. Un giorno una donna del paese vide una processione di anziani diretti verso la Val Scura. Si capì allora che quei rumori erano dovuti alle anime dei dannati che fino al Concilio di Trento continuarono a frequentare questa valle, incutendo paura agli abitanti.

La Val Scura in una grigia giornata novembrina
La Catha Selvàrega
Da Lentiai, lungo la strada per Feltre, si procede in direzione Colderù, per arrivare nella frazione Boschi. La gente del luogo ricorda la leggenda della Catha Selvàrega (Caccia Selvaggia), un branco di cani invisibili che di notte facevano sentire i loro ululati agghiaccianti sulle cime e i boschi circostanti.
Una notte un contadino di Boschi, stanco di udire questo frastuono, sparò dei colpi verso il cielo. Il mattino seguente, mentre stava uscendo per andare nella stalla, trovò davanti l’uscio di casa gambe e braccia di uomini. Terrorizzato, la notte seguente chiamò la Catha Selvarega che venisse a riprendersi le sue prede.
Si dice che i cani siano le anime dei cacciatori che non sono andati mai a messa.

Lentiai: i luoghi della Catha Selvarega
Al Caregon de’l Padreterno

Il Monte Antelao, a sinistra, e il Monte Pelmo, a destra, dalla caratteristica forma a “poltrona” priva di punta
Per stemperare la tensione provocata da visioni infernali e poco rassicuranti (non vorremmo in tal modo impaurirvi troppo, tanto da non venire mai da queste parti!), vi invitiamo a riempirvi gli occhi della magnifica cornice delle Dolomiti, le cui montagne, dalle forme spesso bizzarre, sono anch’esse ricche di spunti leggendari.
Il Monte Pelmo, ad esempio, è forse più conosciuto dalle genti del luogo (siamo in Cadore, tra le montagne di Cortina d’Ampezzo) come Al Caregon de’l Padreterno, ossia “Il trono di Dio”.
Si dice che Dio, dopo aver creato quasi tutte le bellezze del Mondo, scese in Italia, che già sapeva sarebbe diventata la sede del successore di Pietro, per creare attorno a questa penisola delle barriere difensive. E cominciò a plasmare le Alpi. Al termine di tutto questo gran lavoro si volse indietro ad osservare la sua opera. Sì, erano belle le Alpi! Spiccava la maestosità del Bianco, la superba bellezza del Cervino… Ma il buon Dio non era ancora del tutto soddisfatto, voleva qualcosa di più, qualcosa di ancor più bello. A questo punto pensò di plasmare delle montagne diverse, se non più alte, almeno più caratteristiche. E diede così mano alle Dolomiti. Sarebbero state delle montagne capaci di riflettere i raggi del Sole, specialmente al tramonto, quando avrebbero assunto i loro caratteristico colore rosato. Per renderle ancor più uniche, ne appuntì le cime, arricchendole di picchi, di creste, di guglie. E lavorò tutto il giorno. Giunto al tramonto, stanco sfinito, il buon Dio volle riposarsi ma, dovunque volgesse lo sguardo, altro non vedeva che cime appuntite. Si decise, perciò, a compiere un’ultima fatica e con l’ultima dolomia rimasta, eresse quasi al centro di questo stupendo anfiteatro, un’altra montagna e ne manipolò la vetta a mo’ di…poltrona. Da questa montagna, comodamente seduto, poté finalmente ammirare la sua opera. ll Suo sguardo si estese compiaciuto dalla Marmolada alle Tofane, dal Cristallo alle Tre Cime di Lavaredo, dal Peralba all’Antelao… Stanco e soddisfatto, si addormentò. Al risveglio, rialzatosi dalla Sua poltrona, volle rifarne la cima per adeguarla al resto, ma ci ripensò. Quel monte stava bene anche così.
Le impressioni più forti che ho avute da bambino appartengono alla terra dove sono nato, la valle di Belluno, le selvatiche montagne che la circondano e le vicinissime Dolomiti
Dino Buzzati