Pure se l’opera lirica sembra non adeguarsi a quei canoni di freschezza e di novità che caratterizzano le inclinazioni del pubblico attuale, in particolare quello giovanile, l’opera pucciniana “La Bohème” appare come un’eccezione alla regola. Un poco perché parla di giovinezza, di aspirazioni, di sogni; un poco perché i cinque protagonisti dell’opera (appunto, i bohèmiens) hanno fatto della loro passione e della loro arte l’intera vita.
Le vicende dello scrittore Rodolfo, il pittore Marcello, il musicista Schaunard, il filosofo Colline, la cantante Musetta e infine Mimì, hanno come fulcro la fredda mansarda in cui alloggiano, perno di miserie, delusioni, bruciature di cuore. Eppure, v’è sempre l’occasione, nonostante tutto, di uno scherzo, di un balletto, di una messinscena teatrale, o anche di un espediente furbesco, di gioie, di innamoramenti.
L’ambientazione è rilevantissima: la Parigi del 1830, a cui Puccini si ispirò traslandone le attitudini della Scapigliatura, e quindi intessendo nell’opera il tema dell’amore e morte, della povertà dei mezzi in confronto alla nobiltà d’animo, dell’arte come unica scelta possibile opposta all’ideale borghese consumistico già dilagante.
La prima assoluta de “La Bohème” debutta il 1° Febbraio 1896, dopo circa tre anni di gestazione, diretta da Arturo Toscanini presso il Regio di Torino, e consta di quattro quadri che si aprono e chiudono circolarmente.
La vigilia di Natale fa da sfondo all’apertura del I quadro. I quattro artisti non sono però in vena di festeggiamenti: la loro soffitta, sui tetti di Parigi, è fredda e la legna è finita. Rodolfo inizia a bruciare beffardamente nel fuoco un romanzo ben poco scritto per scaldarsi. Suona alla porta Benoìt, il padrone di casa, e i quattro si inventano un pretesto per rimandare il pagamento dell’affitto arretrato.
Soddisfatti dell’espediente, decidono di dirigersi verso il Quartiere Latino: solo Rodolfo si trattiene a terminare un articolo di giornale. Nel frattempo suona alla porta Mimì, sua vicina di casa, che chiede fuoco per accendere il lume. Andandosene, si rende conto di aver perso la chiave di casa, e chiede a Rodolfo di aiutare a cercarla. Nel buio, le loro mani si incontrano (nella celebre aria de “Questa gelida manina”) e si scoprono innamorati.
Le vicende riveleranno però la gravità della malattia che attanaglia Mimì, peggiorata dalle miseria e dai pochi espedienti. Rodolfo, nonostante l’amore, decide di concludere la relazione per il bene della ragazza, in quanto lui stesso non si sente in grado di garantirle una vita migliore.
Seguono nel frattempo le vicende e l’allegria del gruppo di artisti, con le loro schermaglie amorose, compreso l’intervento dell’energico personaggio di Musetta, fino al tragico finale, i cui protagonisti coralmente partecipano alla morte di Mimì, ormai troppo malata, che dedica un ultimo addio all’amato Rodolfo.
Il debutto, andato in scena sabato 19 Gennaio presso il Teatro Goldoni di Livorno, e replicata domenica 20, ha visto come protagonisti due cast alternati: Maria Bagalà e Martina Gresia hanno cantato la dolcezza, la sofferenza e il tragico destino della graziosa Mimì; Francesco Fortes e Rosolino Cardile, invece, la dedizione poetica e amorosa del suo amante, Rodolfo.
Spicca come mattatrice il direttore d’orchestra Gianna Fratta, che dirige l’Orchestra Giovanile Italiana; lo straordinario cast di figuranti e non, è invece stato capitanato dalla regia di Joao Carvalho Aboim.
Le prossime repliche, che fino ad ora sono risultate sold out, si terranno al Teatro Verdi di Pisa il 16 e 17 Febbraio e al Teatro del Giglio di Lucca il 16 e 17 Marzo.
EA