Una poesia del MeP (Movimento per l’emancipazione della Poesia) in cui mi sono imbattuta qualche tempo fa, recita:
In biblioteca
Immersi nel
silenzio
si sfiorano
gli occhi
in un valzer
di sguardi.
La timidezza
cede
il passo
all’immaginazione
A.16
Nelle biblioteche, in linea di massima, gli studenti passano buona parte della propria giornata, a meno che non appartengano a quella specie rara in grado di concentrarsi a casa nonostante le distrazioni letto-frigo-tv-divano (i più fortunati).
Oltre che luoghi in cui scatenare il proprio odio più feroce contro casi umani vari ed eventuali, sono anche luoghi che possono alimentare un malsano interesse di natura fisico-sentimentale verso individui che, spesso, si rivelano ugualmente casi umani.
Sarà la forza dell’abitudine (c’è chi passa più tempo in biblioteca che a casa propria), sarà la luce soffusa che fa atmosfera o l’odore inebriante di libri e cultura, ma trascorrere molto tempo in biblioteca, a contatto sempre con le stesse persone, spesso induce a costruire castelli di carte che, il più delle volte, crollano.
Si comincia a studiare, si nota qualcuno, si finge distrazione e si comincia a guardare gli scaffali con aria trasognata, lanciando sguardi fintamente distaccati e pensierosi, che, ci scommetto, assomigliano ben poco a quelli dei film (al massimo a quelli di Pumbaa nel Re Leone).
E, come dimostra di sapere bene anche A.16 (autore della poesia), “la timidezza cede il passo all’immaginazione”; in altre parole: CIAK SI GIRA! Nella nostra testa si insinuano filmoni inimmaginabili, avete già scelto il nome dei figli che avrete, ammettetelo, ma non si ha il coraggio di scambiare mezza parola con il caso umano prescelto.
Né lui, per carità, accenna a fare il primo passo, ma si dimostra sempre prodigo di sguardi, sorrisini e sospironi, neanche reggesse sulle sue spalle il peso del mondo, povera stella.
E a questo punto, ahimè, l’immaginazione cede il passo allo stalking spietato, si cominciano a elaborare complicatissimi sistemi di calcolo per: occupare un posto che vi permetta di vederlo o, quantomeno, di essere viste, considerando posizione, distanza, altezza degli studenti che vi separano dalla conquista, badando sempre, ultimo ma non meno importante, a occupare una posizione tattica ma non sfacciata.
Sembrerà un lavoraccio inutile e complesso, ma vi sorprendereste nello scoprire quanto la mente umana possa applicarsi efficacemente e in fretta per raggiungere l’obiettivo, inconsapevole ovviamente, di perdere la dignità.
Se ci applicassimo altrettanto nello studio saremmo già tutti laureati in Fisica, ne sono certa.
Ma la sessione è l’ultimo dei pensieri di un sottone da biblioteca (sostantivo derivante dall’espressione gergale “stare sotto”, tipo Bruno Mars che canta “I’d jump in front of a train for you”, tanto per capirici).
Il sottone da biblioteca non si cura di libri, appelli e lezioni perché è troppo impegnato a calcolare, in base alle condizioni meteo, alle abitudini dell’oggetto del suo desiderio e al grado di agitazione di quest’ultimo, la sua prossima pausa sigaretta, in modo da precederlo con il dovuto anticipo senza rivelare segni d’interesse (GIAMMAI!). Aaaah le scuole elementari, quando eravamo giovani e impavidi.
La pausa sigaretta è lo spiraglio spazio-temporale nel quale il sottone da biblioteca ripone tutte le sue speranze, invero non troppo ambiziose e di solito confinate al sentirsi chiedere “mica hai da accendere?” (old but gold).
Solo nel rarissimo caso in cui il rapporto tra i due amanti potenziali (ostacolati solo e soltanto dalla loro inettitudine? Ai posteri l’ardua sentenza!) sia già progredito al livello successivo (ovvero post accendino) si assisterà a conversazioni imbarazzanti durante le quali voi sottoni risponderete con lo stesso savoir-faire del piumone di Bridget Jones, del tipo:
LUI/LEI: Piove???
SOTTONE: Ciao!
E dopo che, ormai da tempo, l’immaginazione ha ceduto il passo all’idealizzazione più becera, anche il sottone più inetto e sognatore freme per agire e lo farà, oh sì, di solito spinto da un’amica ottimista e stronza che lo sprona a colpi di: “Chi è sincero non fa mai figure di merda!” NON CREDETECI, le fa eccome! E non perché fare la prima mossa sia un’azione ascrivibile alla categoria, ma perché nella vostra testa voi due piccioncini vi conoscete e vi amate follemente, nella sua probabilmente avete lo stesso valore di un accendino.
Siamo ormai agli sgoccioli della nostra triste storia, a questo punto il rapporto platonico può progredire verso una fugace scopata o verso la grigia quotidianità, foriera di illusioni (peggio, perché, oltre l’ovvio, allunga l’agonia), e il vostro castello di carte, come vi avevo predetto, crollerà. E voi rimarrete lì, schiacciati dal peso dei due di picche.
Dopo qualche settimana di imbarazzo, in biblioteca vi sentirete a vostro agio come un tempo, ma più cretini.
Morale: Se proprio dovete mandare a puttane una sessione, che ne valga la pena! Ad esempio per qualcuno che, dopo avervi chiesto l’accendino, si presenti e vi chieda di uscire.
Morale 2.0: CON I SE, CON I MA E CON I SOLI SGUARDI NON SI FA LA STORIA!