“La metafora del potere è metafora della vita stessa.”
Queste le parole di Luciano Canfora che con il suo discorso inaugura il 54°Festival del teatro greco di Siracusa evidenziando il fil rouge di questa stagione 2018: la scena del potere.
Il festival ormai rappresenta l’appuntamento per eccellenza per tutti gli appassionati di dramma antico, per coloro che ricordano con affetto gli anni trascorsi in classe a tradurre le sudate versioni, ma non solo. Il pubblico che riempie le gradinate del teatro è gremito di studenti delle scuole di tutta Italia; sono loro a rendere queste rappresentazioni vive, entusiaste e a volte gioiosamente rumorose come era nel V secolo a. C. quando il Teatro con le sue immagini era la Voce della città e la Città la sua prima fonte ispiratrice.
Le tragedie in scena a Siracusa a partire dal 10 maggio sono l’Eracle di Euripide con regia di Emma Dante e l’Edipo a Colono di Sofocle con regia di Yannis Kokkos; il 29 debutterà la commedia i Cavalieri di Aristofane con la regia di Giampiero Solari.
Questo il cartellone tradizionale 2+1 che sarà arricchito da numerosissimi altri eventi che renderanno la città il fulcro culturale di tutta l’isola. A partire da metà maggio si apre in contemporanea il Festival del Teatro classico dei Giovani che vedrà sfidarsi gruppi teatrali provenienti da ben 103 istituti in tutta Italia, Grecia, Francia, Spagna, Belgio, Georgia e Tunisia.
Ma il Festival del teatro greco regala ancora numerose sorprese. L’11 giugno andrà in scena la Conversazione su Tiresia, piéce inedita scritta e interpretata da Andrea Camilleri, dal 12 al 15 luglio invece ritorneranno a Siracusa le Rane di Aristofane con il duo comico Ficarra e Picone per protagonisti; chiude questa rosa di eventi il Palalmede di Alessandro Baricco in scena il 18 luglio.
Il dramma antico, tuttavia non è solo suggestione, ma anche discussione, dibattito. Il celebre Orecchio di Dionisio nel parco archeologico della Neapolis si trasformerà in skenè per relatori dal calibro di Massimo Cacciari che il 31 maggio alle 17,30 intratterà il pubblico con una lezione su “Il dolore che salva”; il 28 giugno alle 19 sarà la volta del Professor Luciano Canfora su “Un ventenne molto protetto: Aristofane contro Cleone” e il 16 luglio alle 19 Alessandro Baricco chiuderà il ciclo con “La giustizia e la forza. Tucidide, il dialogo tra Melii e Ateniesi”.
Il Festival del teatro greco di Siracusa è tutto questo: una perla rara nel panorma culturale del nostro Paese che merita di essere ammirata almeno una volta nella vita.
Dalla piovosa Siena io e le mie amiche siamo partite in Sicilia per assistere alla rappresentazione dell’Edipo a Colono e per godere un po’ di quella magia che finora abbiamo cercato di evocare.
L’Edipo a Colono è la tragedia che Sofocle scrisse a novant’anni, pochi mesi prima di morire. Fu rappresentata, infatti , postuma nel 401 a.C.
Nei manuali di letteratura greca quest’ultimo dramma viene presentato come una sorta di “testamento spirituale” del noto tragediografo che sentendo di approssimarsi alla fine dei suoi giorni sceglie di dare l’addio alla sua Atene per bocca del suo personaggio più riuscito: Edipo.
L’Edipo a Colono di Yannis Kokkos (tradotto da Federico Condello) riesce sicuramente a comunicare quest’atmosfera “di commiato” regalando al pubblico un dramma tutto introspettivo, dove il dinamismo è dato dalla parola, che rimbalza tra i personaggi violenta, rabbiosa e disperata. Così il regista greco descrive la sua realizzazione: “E’ una tragedia sulle frontiere materiali e metafisiche, sul mistero della libertà umana prima dell’onnipotenza degli dei, della responsabilità, della vecchiaia e della gestione politica della città, Edipo a Colono è anche un poema intimo, un viaggio mentale”.
Questa tragedia sofoclea risulta tremendamente attuale. Edipo ormai vecchio, cieco e sofferente cerca asilo ovunque, ma nessuna polis vuole accogliere lo Straniero, per giunta così celebre per le sue colpe ineffabili.
I numerosi monologhi del protagonista rendono alla perfezione questa condizione di impotenza, assenza di speranza, stanchezza e disperazione che caratterizzano il vecchio Edipo ormai esiliato dalla sua Tebe, abbandonato da tutti tranne che da sua figlia Antigone che ha scelto deliberatamente di vivere raminga piuttosto che abbandonare suo padre.
La rielaborazione di Kokkos mette in scena la “tragedia della mancata accoglienza” senza negare il merito a l’unico uomo così sicuro dei valori della propria polis da non venir meno alle sue leggi e che darà ospitalità allo straniero: Teseo, re di Atene. Si tratta dell’ultimo omaggio di Sofocle alla città che ha dato i natali alla democrazia, la Scuola dell’Ellade.
Un’altra tematica forte oltre a quella del Tiranno eroe e antieroe al tempo stesso, messa così bene in luce dalla lectio di Luciano Canfora, è quella del rapporto padre-figli.
La tragedia greca ci riporta all’uomo e ai suoi sentimenti: la tristezza, la speranza e la rabbia. Rabbia magistralmente evocata da Polinice (interpretazione eccellente di Fabrizio Falco) che dopo aver volontariamente abbandonato il padre al suo destino di supplice, è esiliato a sua volta da Tebe per mano dell’odiato, odiatissimo fratello minore Eteocle. Ed è con un grido straziante “IO LO ODIOOO!!” che il teatro intero si riempie di rancore, un rancore profondo mai sopito dal V secolo a.C.
La peculiarità di questa messinscena di Kokkos restano i costumi e la scena. Quest’ultima, la skenè, è spoglia: perfetta nel suo ruolo di sottofondo ad una storia liminale, invernale e che trasuda epilogo sin dal suo inizio. L’atmosfera è quella di una realtà senza spazio e senza tempo, potrebbe essere il 401 a.C., il 2018 o il 3000. I costumi dei personaggi confondono e forse, secondo i più nostalogici, deludono: cappotto lungo di pelle nera per Teseo, abiti neri conformi al “lutto” siciliano per le giovani donne del semi-coro femminile e camicie, gilet simil-siculi per i notabili di Atene inizialmente restii ad accogliere il “tristo” Edipo.
Kokkos ha optato per ridimensionare l’energia di una skenè più elaborata e questa coraggiosa scelta ha avuto come felice esito la salvaguardia della caratteristica più profonda della tragedia greca: la sua universalità.
« Non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce, tornare presto là da dove si è giunti.
Quando passa la giovinezza con le sue lievi follie, quale pena mai manca?
Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiaia ».
Tuttavia, definire l’Edipo a Colono di questo festival semplicemente come “l’Edipo Di Yannis Kokkos” risulterebbe uno sgarbo nei confronti di colui ha reso vivi, vivissimi i tormenti di questo personaggio mitico e colpevole: Massimo de Francovich. La sua performance val bene un volo in Sicilia.
Una Sicilia in cui non ha mai smesso di pulsare il cuore della Magna Grecia e per sentirlo battere non si ha che esserne “spettatori”.
Valeria Nitti